lunedì 19 settembre 2011

La strategia del ragno.


L'Ancesieu è una delle più grandiose pareti di tutte le Alpi occidentali...
La Sud-Ovest ne è la sua parete più selvaggia...
Una sola via la solca...
Una via mitica e fino ad oggi mai ripetuta...
Questa è la storia di una partita che è durata oltre 30 anni!
UGO MANERA e l'ANCESIEU

[…] I fianchi delle valli Canavesane offrono un campo quasi inesauribile per arrampicate di alto livello. Dopo la scoperta del Caporal da parte di Gian Piero e mia, il primo a valutare esattamente la dimensione di queste possibilità fu Mike Kosterlitz, il forte scalatore scozzese che per una stagione arrampicò con noi e ci diede un bel aiuto ad ampliare i nostri orizzonti, allora, a dire il vero, abbastanza limitati.
Dopo la vasta esplorazione delle possibilità del Caporal e delle circostanti pareti ci voleva qualcosa che andasse oltre, che rappresentasse un impegno più completo e totale […]. Una parete che richiedesse più giorni di arrampicata con l’uso delle tecniche più moderne, ma, con l’esclusione del perforatore e dei chiodi a pressione. Questa c'era, era l’Ancesieu! […]
La storia del versante Sud Ovest dell’Ancesieu inizia solo nell’autunno ’72, contemporaneamente alla scoperta del Caporal. Antonio Cotta e Giulio Saviane iniziano una lunga serie di tentativi che si concluderà solo nel 1980.
L’accesso alla base della parete è lungo e difficile per il ripidissimo canale che scende direttamente a fondo valle; mentre il più comodo accesso, il Combetto degli Embornei, verrà scoperto solo dopo la conclusione dell’impresa.
I primi tentativi di Cotta e Saviane vengono portati a destra di quella che sarà la via diretta di salita, lungo un tracciato che assumerà il nome di “variante del preambolo”.
Almeno quattro tentativi non portano gli scalatori oltre la grande cengia erbosa posta ad un terzo della parete, un grande tetto sembra impedire ogni possibilità di salita.[…] Fin dall’inizio sono evidenti le caratteristiche dell’arrampicata: la roccia è compatta ed i pochi strapiombi valicabili sono a volte intasati da tenacissimi ciuffi d’erba, alcuni tratti in arrampicata artificiale richiedono chiodatura paziente e delicata in ostiche fessure appena marcate e con fondo terroso. Malgrado ciò l’ambiente esercita un fascino particolare che spinge a ritornare con accanimento sul difficile problema.
Antonio Cotta è un liberista eccezionale, molte volte ci ha lasciati di stucco superando con straordinaria eleganza passaggi contro i quali noi ci spellavamo inutilmente le dita. Quando però l’arrampicata diventa dura lotta ed è necessario ricorrere all’arte più raffinata della posa degli ancoraggi non è più affar suo.[…]
Dovette quindi cercare un valido rinforzo e, la scelta non poteva cadere meglio: Isidoro Meneghin! Lui, è un vero specialista dell’arte della chiodatura difficile […]
All’inizio dell’80 riprendono i tentativi: Cotta, Meneghin e Biagio Merlo ripercorrono la “variante del preambolo” ed esplorano in discesa l’attacco diretto. In un secondo assaggio Cotta e Meneghin percorrono l’attacco diretto e vi lasciano delle corde fisse. Ritornano poi successivamente e si calano dalla cima fino alla base della parete; risalgono alla cengia e proseguono fino in cima!
Finalmente il 31 Maggio 1980 la parete è vinta!
La via viene chiamata “La strategia del ragno”.
Un cruccio è però rimasto nell’animo di Meneghin: da metà parete, per evitare un bivacco, è stata scelta una serie di fessure molto belle ma che concludono a sinistra della cima; resta invece inviolato un lungo diedro che offre la possibilità di un uscita diretta. […]
Ugo Manera
Isidoro
Meneghin
sull'ultimo
magnifico tiro della Manera-Meneghin all'Ancesieu
ISIDORO MENEGHIN
ALPINISTA SOLITARIO…

Nel raccontarvi questa storia sull’Ancesieu non voglio perdere l’occasione di far conoscere un po’ di più Isidoro Meneghin.

Infatti, a differenza dell’altro grande protagonista di questa storia, ovvero Ugo Manera, trovare racconti, foto od anche solo un curriculum di Isidoro non è cosa semplice.

Eppure Isidoro fu certamente uno di quegli scalatori che dedicarono totalmente la propria vita all’attività alpinistica. La qualità delle sue salite, e soprattutto la ricerca del nuovo, lo pongono ai vertici dell’arrampicata piemontese ed italiana dagl’anni ’70 a metà anni ’80.

Tenterò quindi di raccontarvi qualcosa di Isidoro attraverso le parole di Ugo Manera, suo

compagno di molte scalate ed unico ad aver scritto qualcosa di lui:


[…] Isidoro mi è sempre apparso come un solitario: i suoi rapporti con i compagni di cordata sembravano più suggeriti da necessità contingenti che ricercati per libera scelta.
Forse i momenti di massima realizzazione interiore li trovò nelle innumerevoli solitarie, molte delle

quali di grandissimo impegno, come la prima della via Palerai alla Pala di Gondo.
So poco di queste salite perché ne parlava poco, mai quando erano allo stadio di progetto e raramente dopo la realizzazione. Era molto preciso e credo stendesse sempre un resoconto tecnico

delle nuove vie, si trattava però di relazioni che teneva quasi sempre per sé e raramente pubblicava. Pur essendo grande lettore di pubblicazioni alpinistiche non scriveva mai, le relazioni delle ascensioni compiute insieme erano sempre demandata a me.

Nonostante la nostra reciproca frequentazione alpinistica,

difficilmente venivo a conoscenza di eventuali sui progetti che non mi

coinvolgessero e, a volte, la caccia ai suoi segreti era persino divertente[…]


Per darvi un’idea di ciò basta raccontare come Ugo venne

invitato a collaborare al progetto Ancesieu:


[…]Una volta partimmo per andare a cercare una sconosciuta Punta Perra, posta al fondo di un

ancor più sconosciuto vallone di Lasinetto, tributario del vallone di Forzo.

Quando ci alzammo sul fianco del vallone, alla ricerca di un sentiero ormai invaso dagli sterpi, alle nostre spalle si profilò un formidabile muro di granito alto quasi 400 metri: era la parete dell’Ancesieu. Non l’avevo mai osservata da quell’angolazione e mi apparve veramente straordinaria; mi fermai posai lo zaino e cominciai a far commenti. Mi sembrava ancor più imponente delle pareti di Sergent e Caporal. Isidoro mi ascoltò in silenzio, poi ad un tratto mi interruppe chiedendomi:
“ma saresti interessato a salire una roba del genere?”

Lo guardai sorpreso: “certo!” risposi “mi interessa molto.”

“Credevo proprio che non fosse il tuo genere, per cui non ti ho mai detto niente, ma ora ti racconto tutto.”[…]


E, ciò che gli raccontò è più o meno ciò che vi ho riportato nella storia della “Strategia del ragno”. Da notare che questo dialogo avvenne nell’estate dell’80 quando la Strategia, perlomeno senza uscita diretta, era stata vinta e finita…
Ma vi rendete conto che Meneghin tenne per se quella che poteva essere una delle vie più complesse del Piemonte?

…Segreta! Ne pubblicata ne raccontata: pensate anche solo al riserbo che impose ai sui compagni di salita perché di tutto ciò non trapelasse nulla!


Ma torniamo alle parole del Manera che nell’articolo, in parte qui riportato, continua a raccontarci del particolare carattere di questo alpinista misantropo:

[…]La sua tendenza all’autonomia organizzativa, tipica del solitario, si manifestava anche nelle notti in parete: sulle minuscole cenge, sede di questi bivacchi, Isidoro cercava per quanto possibile un suo angolino appartato, magari ancor più scomodo, ma isolato. Lo preparava tutto per se, con cura certosina, proprio come se fosse solo. La passione per la scalata in lui era enorme, era però una passione silenziosa che Isidoro ripiegava in se stesso e non esternava. Fin dalle prime scalate con lui mi resi conto dell’enorme conoscenza che aveva delle nostre montagne, nonché della capacità di scoprire e mettere a fuoco nuovi problemi alpinistici. La nostra azione era lineare, senza sfumature: scoperta del problema, soluzione dello stesso senza uso di perforatore o chiodi a pressione e rimozione totale del materiale impiegato nella scalata. I nostri ripetitori in genere potevano contare solo sull’aiuto delle relazioni tecniche che io regolarmente stendevo e pubblicavo[…]

Negl’anni fra l’80 e l’84 Isidoro realizza infatti un’eccezionale serie di prime ascensioni, molte delle quali nel massiccio del Bianco: vie come I dilettanti al pilastro rosso del Bruillard; la Manera- Meneghin alla punta Brendel, 700m di parete fino al VI° e A3; la parete Sud-Ovest del picco Guglirmina via Grassi- Meneghin, anche qui 600m fino al VI°; la bella Puzzle al pilastro Tre punte; ma anche vie dove l’arrampicata libera si fa più dura, come su Conflitto finale al Clocher, 200m di VI°+ e VII. Insomma l’elenco è veramente lungo ed io non voglio stendere una lista; non posso però non citare alcune vie nel massiccio del Granparadiso, che a mio avviso sono in alcuni casi di impegno assai superiore a quelle citate sul Bianco.
È proprio nelle montagne sopra la valle Orco che Maneghin ha scoperto pareti scomode ma bellissime: il Monte Castello con la sua arditissima Elogio della follia (VII/A3), oppure tutte le bellissime vie delle torri del Blanc Giuir, vie verticalissime alcune delle quali liberabili e non ancora liberate.
Infine non si possono tralasciare alcune vie a Sea, veri e propri virtuosismi della tecnica artificiale, all’epoca in Piemonte non certo sviluppata e specialistica: in vie come L’apprendista stregone si è spinto fino all’A4 (A4dell’epoca ma comunque duro) e sul Ruggito del topo ha regalato in apertura solitaria una via liberabile dai big del futuro!
Isidoro è morto nell’89 in rocca Sbarua. da solo! Ora ciò che resta sono le sue vie; spesso nelle mie esplorazioni mi ci sono imbattuto e più volte mi son trovato ad aprire nuove linee giusto a fianco. Ho compreso che per apprezzarle bisognerebbe restaurarle in maniera eticamente corretta e delicata. Solo così il pubblico alpinistico potrà conoscerle e amarle.
Insomma avrete capito che Isidoro torna con Manera poco dopo il felice esito dell’impresa per risolvere quell’uscita diretta che era mancata.
Risalendo però l’accesso appena scoperto (Combetto degli Embornei), si accorgono che la parete Sud-Sud-Ovest, quella delle odierne vie di Motto, è altrettanto grandiosa e ovviamente non resistono ad iniziare una via totalmente nuova. Questa però, è un’altra storia…
A quasi un anno di distanza il 1/5/1981 tornano finalmente sulla Sud-Ovest. Percorrono il lungo vallone del rio Arcando, ancora innevato, si calano dalla cima ma, non hanno tempo di scendere fino alla base perché al mattino la sveglia del Meneghin non ha suonato. Cominciano quindi a scalare da dove la “Strategia del ragno” scappava a destra, tirano dritti per altri 5/6 tiri e aprono così il “Diedro della sveglia”.
LA STRATEGIA di ADRIANO...
La strategia, per chi ama la storia dell’arrampicata occidentale, è un mito! E, fino a poco tempo fa, era anche misteriosa come tutti i miti che si rispettano.

Molte incognite si opponevano alla mia voglia di visitare quel posto:

La strategia è l’unica via di quella parete… perché?

Eppure la parete è grandissima e quando la guardi dal parcheggio sembra tutt’altro che brutta!

Poi, quel tentativo di apertura di una nuova linea da parte di Rolando Larcher mi lasciava perplesso…

un solo spit messo… perché non ha continuato?

perché ha rinunciato? la parete è sporca? Forse impossibile? O forse brutta?

La curiosità cresce…

Ma il catalizzatore che trasforma il seme della curiosità in azione è Sergio Cerutti, nostro mentore spirituale. Lui conosce bene Manera, il quale gli ha sempre detto che la “Strategia del ragno” sarebbe stata scalabile…

poi comincia a girar voce che qualcuno voglia spittarla… anche se questa è forse una mossa tattica pilotata dallo stesso Cerutti.

Che questa voce risponda a verità oppure no non importa. La

tattica funziona ed è allarme!

Io , Miki e Aziz partiamo…

Come avrete capito prima, la via non aveva ripetizioni e ne era mai stata percorsa da sotto a sopra. Ne io, Miki e Aziz avevamo l’intenzione di risolverla quel giorno…


Quel giorno:

Non ricordo la data, è settembre (2010); Miki è drogato di adrenalina, io e Aziz non l’abbiamo mai visto così; tira tutto lui, quasi tutto a vista su fessure intasate d’erba e placche lichenate. È come aprire una via nuova, in posto non c’è quasi niente (2 chiodi), anzi è peggio, perché se

fossimo stati in apertura qualche spit il pazzo l’avrebbe messo…

Si, il pazzo!

Con Aziz rido ancora adesso pensando all’assurdità della progressione: Miki davanti in libera quasi slegato, mettendo nattini che saltavano via e noi dietro a pulirla, a colpi di picca e martello per liberare buchi da friends, aggiungendo qualche chiodo per renderla scalabile anche ai sani di mente. Insomma, se non avessimo lavorato già il primo giorno probabilmente Miki il folle ci avrebbe condotti in vetta! Invece, dopo sette tiri, era gia tardi e il cantiere era dichiarato aperto.

Forse è giusto così, se l’avessimo conclusa il nostro sarebbe rimasto un’espluoit fine a se stesso, invece è la via bellissima così com’è ora: pulita, proteggibile e con un paio di varianti degne dei più bei tiri della zona.

Senza andarci più volte non saremmo riusciti in questa vera e propria opera di restauro, che a mio parere, dovrebbe servire da esempio ad altri alpinisti per altre vie e pareti. Come avete intuito, infatti, non sono stati messi spit salvo che nelle soste, le quali rispettano le originali descritte da Manera e Meneghin.



Michele Amadio
il pazzo!

13/8/2011

Non suona la sveglia! È forse un segno?

Cazzio Nora che non mi ha svegliato, Nora Dorian, la bellissima fotografa. A lei il lavoro più duro: stare nella prima cordata, tirata da Fabrizio Ferrari, appendersi, tiarare fuori la “camera” (che è da accudire come un bebè) e scattare lasciandomi scalare.

Si, io devo scalare, sto provando la “graund-up”, da sotto a sopra, tutto da primo, in libera e fino in cima.

E cosa sarà mai liberare dei 6b e 6c direte voi?

Beh, io faccio la guida alpina, nelle dita non ho un tiro di falesia dal mese di maggio e in più tiro su due gambe enormi che sentono già otto Monte Bianchi... E poi c’è l’ultimo tiro, quel maledetto e bellissimo 7b, ancora da liberare e con i movimenti ancora incerti.

Ma non avendo sentito la sveglia nulla poteva andar storto:

è libera!

Alle 8:00 di sera buttiamo le doppie…

Si, le doppie. Rendono tutto più comodo e sicuro, anche se snaturano l’impegno globale. Ma cosa volete? l’alpinismo moderno non è forse fatto di compromessi?

Innanzitutto, prima di iniziare il restauro, abbiamo avuto il benestare di Manera; poi abbiamo pesato lungamente tutte le possibilità, adottando in fine la soluzione più comunemente considerata etica: soste sicure, chiodi che non azzerino i passaggi (13 su tutta la via) e pulizia capillare.

Insomma, pochissime vie in alpi occidentali si presentano con 12 tiri interamente da proteggere. Continui e belli questi offrono una varietà di passaggi infinita: dagli spalmi psicologici agli incastri più furiosi. Voglio e farò di tutto affinché essa diventa via “cult” e non venga rimangiata dell’erba e dal lichene.
L’Ancesieu, una delle più belle pareti del Piemonte ci ha fatto un altro regalo: a voi sta di goderlo!


LA STRATEGIA DEL RAGNO relazione tecnica


R3 350m 7b max 6b obbl. (oppure 5c e A2)


Materiale generale:

Corde da 60 non raccorciate nel tempo; martello leggero per verificare i chiodi;

Camalot:

C3: tutti

C4: uno 0,3 – doppi da 0,4 a 2 – un 3.

Nuts: non i micro, misure medie.


Dalla cima del combetto degli Embornei costeggiare la parete, dal suo centro seguire un ripido canale erboso (passi di I° e II°) che obliqua a sinistra. Giunti sotto la verticale del limite sinistro dell’enorme tetto siete alla sosta zero (spit).


L1- Si comincia su una corta fessura nerastra e poi diedrino (5c); si traversa a ds circa 4 metri fin contro uno strapiombetto che si supera tornando a sinistra con un difficile ribaltamento su gradino; ora in sosta per il difficile diedrino svasato:
S1 6b+ 30m 3 ch.

Materiale: tutti C3 camalot, 1-2-3 C4, nuts


L2- Direttamente per fessure superficiali salire circa 15m di difficile “friendaggio” (6b+); dopo il buon chiodo, in corrispondenza di appoggi per i piedi, traversare a sinistra in placca 5m (6a,piazzare buon 0,4 prima); dritti per fessura erbosetta (6a+ camalot 3 e ..) fino ad un gradino

che riporta a ds in: S2 6b+ 40m un ch.

Utilizzare una sola corda fino al traverso per poi usare l’altra!

Materiale: circa tutto…


L3- Sovrastante tettino con duro blocco (6c) ben protetto da camalot 3. Pochi metri di placca, poi

su una scaglia (chiodo), traversare e scavalcare lo strapiombo a destra (6a). Ancora a destra sotto una stele appoggiata per circa 10m (5b) fino a tornare a sinistra su gradini. Giunti in cengia erbosa non sostare ma continuare a sinistra; importante proteggere a circa metà traverso erboso, se

no il secondo non riesce a spostare la corda. OCCHIO AGLI ATTRITI! Usa solo una corda fino al chiodo con cordone.
S3 6c 45m di sviluppo, 20 verticali, 3 ch.

Materiale: una serie camalot.


L4- Siete ora sotto la “variante del regista”, un magnifica fessura di mano per una ventina di metri. Dove essa muore magicamente ne parte una orizzontale a destra fino in:
S4 6b+ 30m.

Materiale: una serie e raddoppia lo: 0,75 – 1 - 2


L5- Seguire la rampa 25m a sinistra fino ad un pratino.
S5 da attrezzare su evidente spuntone; 25m III°.


L6- Diedro leggermente strapiombate, blocco di partenza su scaglie poco rassicuranti ma che per ora tengono (6b+ chiodo bomba). Seguire all’incirca tutto l’arco che vi porta verso destra; poi per lame marce fino in: S6 6b/ 6b+ 40m 4 ch.
Materiale: una serie fino al 2.

L7- Fessure e lame verso destra. Se gestite bene gli attriti potete unirlo al precedente. S7 5c 10m


L8- La seconda variante del “Regista”. Perfetta fessura dulfer per 15 metri, dove questa continua sotto un tetto uscire dritti su un bellissimo muro a tacche che porta in: S8 6b 25m.

Materiale: da 0,4 a 3; doppio il 2; nuts per il muro a tacche.


L9- Dalla sosta obliquare a destra dove per tacche si guadagna il diedro svasato (5c). Seguire

tutto il diedro, il quale presenta una prima sezione (6c+) difficile da proteggere mentre si scala. Il chiodo (da 3cm) presente in questa non è affidabile, BISOGNA proteggere nel buco prima con un camalot 0,3 (come uno spit!). S9 6c+ 30m, 3 ch.

Oppure continuare fino a S10 se l’attrito ve lo concede!

Materiale: doppia serie fino allo 0,75; un 1 e nuts.


L10- Dall’appesissima sosta continuare l’esile fessura e dopo un complesso ribaltamento un facile

diedro conduce in S10 la quale però va saltata in quanto solo di calata. Si continua altri 10 metri fino in S11 (comodissima) 6a+ 30m 1ch.

Materiale: una serie fino al 2 e nuts.


L11- 10 metri di pannelo strapiombante solcato da una fessura ad incastro di dita (7a+); movimenti veramente tamarri difficili da proteggere mentre si scala. Friends da 0,4 a 1 fino al chiodo, poi un 3 se uscite in artif. Se invece siete ancora in libera un difficile incastro di pugno vi porta a tirare il fiato su un gradino. Un bombachiodo vi protegge il difficile muro che obliqua a destra (6b-6b+) fin contro un’altra fessura, ovviamente ancora atletica e strapiombate (6c), che si protegge con 0,5 – 1 e 2. Come sempre straocchio agli attriti!

S12 7b nel complesso 30m 2ch.


L12 – Dalla sosta un poco a destra e per risalti, fra rododendri e gradini di roccia, si arriva in:


S13 IV° 30m.

VETTA – Entrate nella grotta davanti a voi e per un curioso

buco nel soffitto uscite all’omino di vetta!


Note: pur essendo l’undicesimo il tiro più duro esso è ben superabile in artif. I più impegnativi restano il secondo in quanto aleatorio e lungo e il nono che presenta il 6b obbligatorio della via.

Seguono a ruota il primo, di difficile lettura e decisamente obbligatorio anche lui, e il sesto in quanto su roccia a volte pericolosa.


Il nono tiro ha una sosta appesa (presente nella relazione di Manera e Meneghin), la quale spezza la continuità del tiro; per essere fedeli alla libera quindi, bisogna continuare fino in S10. In questo

caso la difficoltà del tiro sale a 6c+/7a, inoltre dovete esser parchi nel proteggere il diedro per non aver il solito problema degli attriti!


Discesa:

Dall’ometto di vetta si ritorna in S13 disarrampicando; da qui farne una da 30m fino a S12 (se non la fai si incastrano). Dopo le calate sono sostanzialmente dritte e accorpano molti tiri.

L’unica in cui bisogna porre molta attenzione e quella che parte da S10, trattasi di 60 metri che portano a sosta indipendente posta 10 metri a destra di S7.



2 commenti:

  1. Grandi!! Ecco un progetto per la prossima estate...Grazie a tutti voi!

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